Claudio Chiappucci oggi, dopo una vita nel ciclismo (con tanti successi, e tanti successi sfiorati): cosa fa adesso nella vita?
Classe 1963, Claudio Chiappucci è stato un grande protagonista del ciclismo dell’inizio degli anni ’90, capace di salire sul podio per sei volte nelle classifiche finali dei Grandi Giri (tre volte al Giro d’Italia, tre volte al Tour de France).
Nel 1992 arrivò secondo in entrambi i giri, dietro il mitico Miguel Indurain, e nel 1994 – a completare una carriera fatta di tanti secondi posti – arrivò l’argento nei campionati del mondo di ciclismo su strada di Agrigento.
Di lui si ricordano grandi imprese in montagna, come quella che lo vide vincere la tappa del Sestriere proprio nel 1992 dopo una fuga di ben 192 km, e una grinta immensa sul pedale (tanto da essere soprannominato El Diablo).
In seguito compagno di squadra di Marco Pantani, Chiappucci dopo il ritiro è apparso più volte in TV, sia come opinionista dello sport che lo ha visto a lungo protagonista sia in programmi che nulla hanno a che vedere con il cilismo – ha per esempio partecipato nel 2006 a L’isola dei famosi (dove è arrivato.. secondo, con tanto di Tapirozzo consegnatoli in seguito).
Per lui quindi una esperienza non esaltante in politica (121 voti alle regionali in Lombardia a supporto di Letizia Moratti nel 2023). E oggi?
Nel corso dell’episodio 68 del podcast di Rocco Di Vincenzo e Matteo Fantozzi (e vicevera) Non è più domenica, Chiappucci si è raccontato, parlando della sua carriera, del suo passato, ma anche del presente e del futuro – raccontando in quello in cui è coinvolto, appesa la bicicletta al chiodo:
“In questo periodo ho un’agenda piena. Partecipo a tantissimi eventi, non solo legati al ciclismo. L’estate porta con sé tante manifestazioni: ad esempio sono appena stato in Calabria per una gara di mountain bike notturna, e il prossimo weekend sarò in Francia per una mediofondo e poi per il primo circuito professionistico post-Tour de France”.
Interessanti, nel corso della chiacchierata, alcuni aneddoti emersi – come quello legato alla genesi del suo soprannome “El Diablo”: “Il soprannome nasce in Colombia, durante una gara. Lì mi hanno visto come l’europeo che rompeva l’incantesimo: conquistavo le salite che erano “sacre” ai colombiani. Il nome è spagnolo, non italiano, e rifletteva il mio stile offensivo, la voglia di attaccare. Poi la cosa è esplosa, anche grazie alla coincidenza con il famoso album dei Litfiba: oggi quella canzone mi accompagna ovunque vada, perfino nei video social”.
Quindi, sul suo passato – interessante notare come i suoi secondi posti siano stati molto influenzati dalle caratteristiche del Giro dei tempi: “Ho fatto secondo nel ’91 e nel ’92, terzo nel ’93. I percorsi erano troppo favorevoli ai cronoman, con prove a tempo lunghissime. Oggi sarebbe stato diverso: c’è meno cronometro e più salita. In un ciclismo come quello attuale, io avrei potuto fare ancora di più. Ma non rimpiango nulla: ho corso in un’epoca splendida e ho lasciato un segno”.
Inoltre, ai tempi, c’era un grandissimo come Indurain: “Era un avversario durissimo. Ti batteva a cronometro, ma anche in salita ti sorprendeva. Era uno che capivi poco: osservavi il modo di pedalare per intuire se fosse in crisi. Questo era il bello del ciclismo di allora, fatto anche di lettura e intuizione”.
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